martedì 29 aprile 2008

L'UOMO DEL LAGO

L'asfalto bagnato si confonde con l'acqua del lago. Riflette le luci dei lampioni che una volta mi facevano sentire meno solo. Sono davanti al cancello che da ragazzo sognavo di aprire per avere un po' di quell'amore di cui tanto avevo sentito parlare. Voglio rivedere quella donna che per anni si è mostrata sconcia a tutti coloro che avevano in tasca quei denari che chiedeva.

Ma io,,,Io no! Io l'amavo. Io l'amavo veramente.

Ricordo il cigolio del cancelletto che si apriva e chiudeva mosso dal vento,,, i gradini di marmo... Quei gradini avevano il solco di tutte le scarpe che li avevano camminati...E quella porta? Ah, quella porta...quante volte avevo sognato di aprirla. Rimanevo lì fuori sperando che apparisse alla finestra, solo per vederla, un attimo, un attimo sempre troppo corto. Delle grosse tende di velluto coprivano tutti gli infissi di quella grande casa e non permettevano di spiarne il contenuto. Solo la mia fantasia era entrata, aveva corso per i corridoi e si era fermata nella Sua stanza a contemplare il Suo letto, quelle lenzuola che l'accoglievano nella sua natura, quel cuscino al quale si abbracciava intriso di chissà quanti odori, ma non mi importava, l'unica cosa importante era Lei.

Quel giorno, ero deciso a farmi avanti, ero deciso a parlarLe, avevo comprato delle rose dalla fiorista del lungo lago e sentivo il coraggio per affrontare la mia timidezza. Arrivai alla casa e aprì il cancelletto che cinguettò il suo ormai usuale fischiettìo e con il cuore in gola, bussai. Una donna grassa e oltremodo truccata venne a aprirmi, non era Lei! Non era la donna dei miei sogni.
Non avevo parole, mi ero preparato un discorso da farle,,,, ma ora era diverso .Chi era questo donnone…Rimasi immobile con i fiori in mano. La donna mi domandò brusca,,,-Cosa vuoi?-, io non seppi che balbettare un...
-Po…posso e..entrare?..-
La donna scoppiò in una fragorosa e spiacevole risata di scherno, tanto da attirare l'attenzione dei passanti che mi guardavano con disapprovazione. Non mi ero mai sentito più umiliato.
Mi sbatté la porta in faccia e io rimasi immobile davanti a quella porta chiusa senza sapere che dire.
Mi girai infuriato, sentivo il sangue copioso, affluire alle meningi e fu in quel momento che partorì la malsana idea di vendetta. Quella donna avrebbe dovuto pagare l'affronto fattomi, dovevo trovare il modo di vendicarmi.
Tornai a casa a riflettere.
Vivevo in una stanza presa in affitto sulla riva del lago, non era nulla di particolare, ma era l'unica cosa che avevo trovato da quando avevo lasciato il mio paese. Il letto era così freddo e spoglio che quella notte non riuscì a prendere sonno. Un buco sul vetro della finestra lasciava intravedere la nebbia che si appoggiava sul lago, mentre tenui luci lentamente lo attraversavano. Un sospiro gelido attraversò la stanza e io rabbrividì, rannicchiato pensavo, riflettevo, sulla mia vendetta. Sul soffitto la luce che entrava disegnava ombre diaboliche, diaboliche come diabolico il mio piano si delineava nella mia mente e all'alba tutto si chiarì.

Tutte le mattine, di buon ora, il lattaio arrivava alla casa con il latte fresco e tutte le mattine si fermava sull'uscio attendendo la mancia. Il mio piano era semplice, dovevo sostituirmi a lui e al momento opportuno, mentre la donna rientrava alla ricerca della mancia, sarei potuto sgattaiolare dentro e senza essere visto e avrei potuto colpirla con una delle bottiglie del latte. Avrei ottenuto così la mia vendetta…

Mi alzai, erano circa le cinque e il freddo pungente e umido della mattina mi entrava nelle ossa. Uscì di casa e mi appostai davanti al cancelletto in attesa del lattaio. In tasca conservavo pochi spiccioli che avrei usato per dare la mancia al ragazzo così da mandarlo via subito.
-Mai speso meglio quei soldi.- Pensai.
Le sei e un quarto, era questione di minuti ormai, quelle gelide ore facevano crescere in me la rabbia della vendetta.
Lo vidi arrivare e io ero pronto, tirai fuori i soldi e li porsi al lattaio che mi lasciò il latte senza troppe domande. Indossavo i calzoni che usavo ogni giorno per lavorare al mercato e, una blusa bianca che avevo rubato da un balcone del palazzo dove abitavo e un cappellino che mi ero portato per non farmi riconoscere.
Bussai all'uscio.
Rimasi immobile per qualche istante, in attesa di un rumore che avrebbe dato il via all'ultimo atto del mio dramma.
Dei passi pesanti che si trascinavano alla porta. Il chiavistello scattò e l'immagine della donna grassa mi apparve in una maschera di sangue. Rimasi impietrito. Lei si aggrappò a me e sporcando le bottiglie e i miei vestiti di sangue. Sentii scattare una porta dalla quale ne uscì la ragazza che per anni avevo sognato, impugnava un grosso candelabro sporco di sangue. Mi guardò in faccia e strillò talmente forte che i vicini della casa di fronte si affacciarono alle finestre. Il panico mi assalì, non sapevo cosa fare, la donna davanti a me si era accasciata per terra con il cranio parzialmente distrutto e il sangue stava creando una grossa pozza che mi inondava le scarpe.

Le sirene.

Le sirene della polizia mi fecero tornare alla realtà. Compresi cosa stava succedendo.
Preso dal panico feci cadere le bottiglie e incominciai a correre, le sirene erano sempre più vicine e il panico mi stava sopraffacendo, non sapevo dove andare, non conoscevo la zona e non riuscivo a focalizzare una meta. Intanto delle voci dietro me intimavano l'alt. Il rumore dei proiettili si avvicinava tanto che qualc' uno mi sfiorò, ma io continuai a correre. Attraversai il parco ed entrai in un cespuglio di rovi che mi graffiò le mani, ne uscì dolorante, ma la paura era più forte di qualsiasi stanchezza, ma il fiato si accorciava ad ogni passo tanto che le voci e le urla dietro di me le sentivo sempre più vicine.
Uscì dall’altra parte del parco sulla via che portava a casa correndo sulla banchina vicino le sponde del lago …
Di fronte a me altre voci e altri uomini in uniforme con le armi spianate mi venivano incontro …Svoltai…
Nooo…presi uno dei piccoli pontili in fondo al quale dovetti fermarmi…
Urali disperato il mio sconforto e persi le speranze
-FERMO O ORIAMO IL FUOCO!!!!-
Una voce poco lontano mi intimò
-Meglio arrendermi.-
Mi dissi...
-Non sono stato io a colpire la donna!!!-
Mi voltai e davanti a me si parò un plotone di poliziotti con le armi puntate e dietro di loro, dietro la folla, la ragazza. La ragazza dei miei sogni, la ragazza del candelabro, la ragazza che amavo. Lei che si gustava la scena senza dire una parola in mia difesa.
Lentamente alzai le braccia in segno di resa, nella mano stringevo ancora uno dei rami che avevo strappato nel cespuglio di rovi e una voce dietro tutti gridò...
-E' armato! E' armato! Sparate, sparate!!-
Io non capii, ma i poliziotti aprirono il fuoco uno dopo l'altro e il mio povero corpo si accasciò in preda al dolore. Ero disteso per terra per metà fuori dal pontile il sangue mi inondava la faccia, gli occhi, vedevo sotto di me il lago che piano si avvicinava e l'odore acre della pattumiera lì dietro mi entrava nelle narici, non riuscivo più a muovermi. Cercai di far capir che ero ancora vivo, ma le parole non uscirono e il mio corpo non rispose non rispose più, mai più scivolando nel mio lago che ogni mattina rifletteva la vita sul soffitto della mia camera.
Le onde del lago mi cullavano e l’acqua fresca placava il bruciore che sentivo dentro di me, ombre ora scure e ora chiare si alternavano ballando nei miei occhi ma tutto diventava sempre più scuro,,,tutto più scuro…

Ora,’sono qui’ di nuovo davanti a quella casa, senza sapere esattamente chi o cosa sono.
Quel lago che ogni notte accompagnava i miei pensieri e che ogni mattina mi riportava i riflessi del sole, oggi mi ha ridato una possibilità, un segno.
Sono qui davanti a quella vecchia casa, non ho idea quanto tempo sia passato e forse non mi interessa neanche, ma vorrei vedere la ragazza. Fu lei a commettere quel delitto che io pagai con la vita, ora voglio portarmi via la sua, come lei fece con me.
Sono nell'ingresso di quella strana casa... Quell'ingresso che ho cercato di immaginare tante volte e per altrettante volte mi era stato negato, ora mi è accessibile.Questa volta non scapperò, qualsiasi cosa succeda, sono pronto a ritrovarmi faccia a faccia con il mio carnefice.
Tutto è silenzio, la casa è molto più grande di come la immaginavo. Un salottino spoglio e cadente si apre alla mia destra e di fronte a me le scale che portano al piano superiore sono ricoperte da un tappeto ormai logoro, calpestato da anni e mai cambiato.
Salgo.
Vi sono diverse porte, ma la luce fioca e tremolante si intravede soltanto da una di esse in fondo al corridoio. C'è odore di chiuso, un'aria fredda,fetida, che tuttavia vorrei mi fosse concesso respirare.
Attraverso la porta.
Una vecchia è seduta su di una sedia a rotelle arrugginita, la guardo, la osservo, è proprio lei! Quella splendida ragazza della quale un tempo ero innamorato. Il tempo non è stato clemente con lei, l'ha fatta sfiorire in maniera orribile. Lei si gira di scatto, mi guarda, esita, mi riconosce, ma il suo viso non modifica la maschera del tempo che l'ha segnata.
-Tu...Tu...Eri morto...Ti spararono!-
-Venni ucciso per colpa tua. Venni ucciso per un crimine che non commisi.-
E' seria e mi sta osservando, forse ha intuito il mio scopo.
- Allora ero giovane e non sopportavo l'arroganza di quella donna che, giorno dopo giorno, mi costringeva a prostituirmi. Quella mattina, quando ti vidi, mi sembrasti l'ultima possibilità per riprendermi la mia vita e così...-
-...E così lasciasti che mi uccidessero senza ragione.-
-Già.-
La sua espressione è quella di chi è soddisfatto, di chi è riuscito nel proprio intento, di chi non si pentirà mai di ciò che ha fatto.

Chiudo gli occhi, cercando di trovare in me una risposta, come comportarmi…avevo deciso che mi sarei portato via la sua vita, avevo deciso che doveva pagare il suo debito con me

Mi guardo intorno. La casa è fatiscente e lei è così vecchia che non sembra possa avere mai avuto una giovinezza. Le sue gambe secche non la reggono più in piedi e i segni sul suo volto le dipingono il freddo che ha nelle ossa. Nessuno entra più in questa casa da tanto tempo ormai, è evidente. Lei non si muove più da questa prigione da chissà quanto tempo, ma la sua voce mi distoglie dai miei pensieri.
-Sei venuto a uccidermi, vero? Dimmi che sei venuto a liberarmi da questo posto orribile!-
Sembra che mi supplichi di darle la morte. Le sue parole sono tremanti di paura, ma non è questo che volevo? Non volevo ucciderla?
No! Forse no!
-Dimmi che sei venuto a togliermi la vita, dimmi che mi ucciderai! Dimmelo! Hai capito! Devi dirmelo!-
Adesso so cosa voglio.

-Ho un regalo migliore! Ti regalerò quella vita che tu strappasti a me.
Rimarrai qui, da sola, per sempre.-
Ora è meglio uscire. Le imprecazioni di quella donna le sento ancora giù dalle scale. Riecheggiano per questa triste casa che ho sognato per tanto tempo e adesso non vedo l'ora di uscirne e di non rientrarvi mai più. Mi sono preso la mia vendetta. Ora sono tranquillo.
Ora quel lago che mi ha dato la possibilità di vendicarmi, potrà riprendersi i miei passi, i miei pensieri la mia ultima vita.

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