martedì 29 aprile 2008

CICLICITÁ

- Soave tesoro di pace nel grembo della tomba
si culla non più greve di un sogno della notte -


Stavo tornando al mio paese dopo circa trent'anni, tutto sembrava immutato, le fattorie che costeggiavano la ferrovia erano sempre uguali e la gente, benché non fosse quella di una volta, aveva sempre la stessa espressione. Non vi erano rumori di macchine, si sentivano solo i trattori che stancamente viaggiavano nei campi. Una scena romantica quasi poetica, una lunga distesa di grano mossa solo dal vento. Regnava la pace. M'incamminai verso la strada principale del paese, dove avrei ritrovato quel unico bar trattoria che da bambino vedevo sempre vuoto e ancora oggi, a parte due vecchi contadini che bevevano vino con la scusa di giocare a carte, non c'era nessuno. Entrai chiedendo permesso e una signora dai modi garbati mi fece cenno di entrare, le chiesi se potevo avere un bicchiere d'acqua, lei mi sorrise e mi servì chiedendomi - Da dove venite?- risposi - Vengo da Francoforte, sono qui per via di mio zio, il dottor Peter Gurich, è deceduto poco tempo fa e mi ha lasciato la sua casa.- La donna sbarrò gli occhi come se avesse visto un fantasma e mi disse - Così voi sareste il nipote del dottore...povero dottore...era così buono, era sempre pronto...povero dottore...aiutava tutti, uomini e animali...povero dottore...certo aveva le sue manie, pensi non voleva che nessuno andasse a casa sua...povero dottore. Ormai è un anno che è scomparso, ma si dice che il suo spirito sia ancora in quella casa per questo ancora adesso nessuno è mai entrato.- Io ascoltai interessato il racconto della donna, infondo ne sapevo così poco di lui che forse qualche informazione in più mi avrebbe fatto capire il motivo della sua scomparsa. Finì di bere e mi incamminai verso la periferia del paese, ci misi solo qualche minuto prima di intravedere il viale che conduceva alla casa dello zio. Un cartello di legno, ormai mangiato dalle tarme, portava una scritta fatta con vernice nera a pennellate irregolari, diceva - medico condotto -...E' questa...Presi il viale con decisione, da bambino, durante le vacanze venivo a trovarlo spesso e qualche ricordo lo conservavo ancora di quei tempi. In fondo si vedeva la casa imponente ma umile di un colore giallo, un giallo sbiadito e sporco. Quando arrivai vidi il laghetto di cui avevo scordato l'esistenza, mi avvicinai e guardai dentro l'acqua era immobile e la mia immagine riflessa era anch'essa immobile sembrava uno specchio, mi accorsi che per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere attraverso, l'acqua sembrava completamente nera, sembrava non voler essere penetrata. Mi ricordai che quando ero bambino a me e ai miei amici mi ci fu vietato categoricamente anche il solo avvicinarci. La mia curiosità era forte quasi quanto lo era trent'anni fa, avvicinai la mano, ma alle mie spalle sentì una voce, un sospiro, mi girai di scatto, ma non vidi nulla, cercai con lo sguardo, ma nulla, ero solo, completamente solo. Mi dissi che era la mia immaginazione che mi faceva qualche scherzo...- Il vento, ma certo era stato il vento...-
Mi avvicinai al patio, la casa non sembrava troppo malandata. Salì i primi gradini per arrivare alla porta, scricchiolarono, la mia sensazione di disagio aumentava, ma non potevo farmi spaventare da delle credenze paesane, infondo ero un uomo di scienza come lo era mio zio e come tale non mi era permesso lasciarmi prendere dalle superstizioni. Raccolsi il coraggio e la ragione che avevo e agguantai il pomello della porta. Era gelido, lo girai e spinsi. Si aprì senza fare rumore, come se fosse stata oliata da poco, vidi l'interno, un grande ingresso sul quale si affacciavano quattro porte e una grande scalinata che portava alle camere da letto, decisi di entrare e fare un giro al pian terreno. Aprì la prima porta che trovai sulla sinistra. Le persiane erano chiuse, ma dei buchi facevano passare i raggi del sole rendendo la stanza tanto cupa che mi sentii di nuovo a disagio. Un capogiro che subito si fermò. Andai alle persiane e le aprì senza fatica, ora la stanza era illuminata. Era evidentemente un salottino. Vi era una libreria piena di libri di medicina... la stessa voce di prima, lo stesso sospiro, mi girai di scatto e vidi due occhi enormi che mi fissavano, mi spaventai feci un passo indietro e urlai...Era solo un quadro del nonno. Nel fare il passo in dietro, però, urtai un tavolino che lasciò cadere qualcosa di metallico, era una chiave. Una strana chiave, non era come tutte le altre della casa, questa era tutta nera e l'anello aveva un disegno strano al suo interno. Sul tavolino vi erano dei segni di bruciature come se qualcuno avesse lasciato bruciare un pezzo di carta fino a che esso non si estinguesse lasciando soltanto la polvere. Mi misi in tasca la chiave e continuai a guardare in giro. Entrai nella seconda porta era la cucina, proseguii l'ispezione del resto della casa. Entrai nella porta di fronte a quella della cucina, mi ritrovai nello studio con tutti i testi di medicina legale dello zio, tra l'altro testi che ormai non si usavano più. Mi sedetti alla poltrona della scrivania e aprì i cassetti ma no vi trovai nulla di interessante. Alzai gli occhi per guardare fuori e mi accorsi che era giù buio, la fame incominciava a farsi sentire, ero lì dalla mattina e non avevo ancora mangiato, guardai l'orologio che indicava ormai le ventuno, non sapevo cosa mangiare nelle credenze della cucina non trovai nulla e ormai il bar era chiuso. Non avevo possibilità di mangiare, forse avrei fatto bene ad andare dormire così la mattina seguente mi sarei svegliato presto e avrei potuto guardare in giro meglio. Mi sentivo al quanto disorientato, ma dopo tutto cosa potevo pretendere era tutto il giorno che non mangiavo...la notte porterà consiglio. Le scale di legno scricchiolavano ad ogni passo e la luce così tenue e tremolante delle candele non mi permetteva di vedere esattamente i contorni delle pareti. Vi erano quadri e sculture che ornavano, ma tutto era troppo scuro per poterle vedere bene, arrivai in cima alle scale le quali si aprivano su un corridoio che proseguiva a destra e a sinistra. Su di esso si affacciavano diverse porte di diverse dimensioni con differenti ornamenti contrastanti con i colori della casa. Mi fermai davanti alla prima e la aprii. Era tutto buio e si sentiva un odore acre di muffa provai ad accendere la luce che per un attimo reagì, quel tanto da farmi intravedere una stanza abbastanza grossa con dei divani e poltrone, ma nulla di più. Richiusi e andai alla porta successiva. Il legno del pavimento si piegava sotto il mio peso ed i tappeti lasciavano nuvole di polvere ad ogni passo. La luce fioca lasciava intravedere delle macchie di umidità sparse sulle pareti e tutto era immerso nel completo silenzio, fatta eccezione dei miei passi. Mi avvicinai a una nuova porta, da essa proveniva un leggero venticello, aprì ed accesi la luce. Era una camera da letto. Un grosso letto senza coperte ed un armadio con le ante aperte era tutto ciò che si vedeva. Entrai per poter vedere meglio...un altro giramento di testa quasi una vertigine mi assalì e mi ridiede subito equilibrio. La finestra era chiusa, ma uno dei vetri che componevano l'anta era rotto dal quale entrava un sottile venticello. In questa stanza non viveva più nessuno da molto tempo...di nuovo le vertigini ed ora qualcosa che mi osservava dall'alto mi sedetti sulla sponda del letto ed un nuvolone di polvere si alzò accecandomi, non riuscivo a respirare, corsi fuori e mentre correvo, con l'occhio semi chiuso, guardai il lampadario, un ombra si mosse. Ripresomi dalla tosse riguardai il lampadario ma non vi era nulla, si mosse per un secondo, ma nulla, non c'era nulla. Mi tolsi la povere che avevo addosso e continuai il corridoio. La porta di fronte si aprì da sola o forse la spinsi non ricordo, accesi la luce, era un normalissimo bagno anch'esso spoglio senza asciugamani pieno di polvere, ma nella vasca c'erano alcuni insetti che corsero a nascondersi nello scarico spaventati dalla luce. Aprì l'ultima porta di questo lato del corridoio era la stanza da letto dello zio. Entrai cautamente e mi assalirono, nuovamente le vertigini, ora più forti il lampadario si mosse con forza ed una finestra si spalancò rompendo alcuni vetri ma le persiane erano chiuse e tutto il resto all'interno della camera rimase immobile. Mi ripresi ed andai verso la finestra, la spalancai a fatica ed entrò un filo di vento che sembrò rinfrescare tutta la casa chissà da quanto tempo era rimasta chiusa. Mi avvicinai all'armadio e lo aprì. Le ante cigolarono, all'interno trovai i vestiti delle zio, alcune scatole di metallo e in un cassetto degli involucri di metallo per sigari poi dei denti umani in una scatola di vetro ed altri piccoli oggetti, cose che per un medico sono abbastanza normali. I vecchi vestiti dello zio erano tutti impolverati, ma in buono stato.
Mi sentivo osservato. Era la sensazione che avevo da quando ero entrato in casa. Non volevo dargli peso all'inizio in quanto uomo di scienza, ma ora...Ora la sensazione di disagio che avevo stava sopraffacendo il mio senso scientifico. Non mi ero mai trovato in una situazione simile.
Mi voltai di scatto, quasi saltando e delle piccole ombre nere si mossero quasi sorprese infilandosi velocemente in una fessura del muro.
Tentai un respiro profondo che mi rinfrancasse, ma la polvere era troppa e tossii.
Una...
Due..
Tre volte.
Ora tutto era più pulito, la polvere sembrava fosse andata via da sola. Quasi si fosse resa conto che non serviva più. Come se fosse rimasta a proteggere la casa durante tutto questo tempo.
Mi sedetti sul letto e rimasi ad osservare immobile la stanza dello zio. Delle stampe di Berlino dell'ottocento, alcune vecchie fotografie del mare a Flensburg, nulla di interessante.
Non avevo idea di che ora potesse essere. L'orologio era fermo chissà da quando, non mi ero ricordato di ricaricarlo.
Ero stanco, molto stanco. Mi sdraiai sul letto e mi addormentai.
Al mattino, i raggi del sole entravano dalle persiane e una sottile brezza rinfrescava la stanza invogliandomi a stare sdraiato. Non ci sono rumori, ne auto ne fabbriche.. Tutto sembrava così irreale.
Ohi!
Lo stomaco si fece sentire. Pensai di andare in paese a fare colazione.
L'aria era fresca e la casa aveva assunto un non so che di familiare. Anche la pozza d'acqua appena fuori casa non sembra essere più tanto inquietante. Il laghetto.

Il paese era in piena attività. Qui si svegliavano tutti prestissimo.
Era piacevole camminare in mezzo alle vie non asfaltate di campagna. L'odore del grano era così intenso che quasi stordiva il mio naso non abituato.
Il bar del paese.
Alcuni contadini, bevevano birra al bancone e la cosa mi stupì, ma mi resi subito conto che quella che era per me prima mattina, per loro era quasi ora di pranzo, in campagna si alzavano tutti con il primo canto del gallo, io non l'ho avevo neanche sentito. Chiesi la colazione e la donna non mi fece finire di parlare che mi portò tanto di quel cibo che avrei potuto scoppiare, poi mi chiese :- Si fermerà tanto da noi? Sa non abbiamo più il medico e pensavamo che lei...si insomma...noi non abbiamo tanti soldi, ma non le faremmo mai mancare nulla...eh?-
Non troppo sorpreso dalla domanda rimasi sul vago infondo non mi dispiaceva quel posto. - Credo che rimarrò qui per un po', un bel po'.- La donna andò via soddisfatta dandomi una familiare pacca sulle spalle.
Finì di mangiare e mi diressi di nuovo a casa, in tasca avevo ancora la chiave che avevo trovato il giorno prima. La guardai e cercai di ricordare dove avevo visto il disegno dell'anello, ma la mia memoria non mi aiutò. Arrivai davanti al laghetto e guardai dentro, ancora una volta quel sospiro quella parola dietro le mie spalle, rabbrividì ancora, ma non c'era nessuno. Rientrai in casa, nulla era cambiato, tutto sembrava essere come ieri l'avevo trovato, ma qualcosa mi era sfuggito. Avevo visto qualcosa che mi avrebbe aiutato a capire cosa stava succedendo, ma non ricordavo. Mi diressi alla libreria dello zio. Ero convinto che la soluzione del mio enigma l'avrei trovata proprio lì e così fu. La copertina di un libro riportava l'immagine dell'anello della chiave che avevo trovato. Lo aprii a caso e lessi:

- Ero stanco, molto stanco. Mi sdraiai sul letto e mi addormentai.
Al mattino, i raggi del sole entravano dalle persiane e una sottile brezza rinfrescava la stanza invogliandomi a stare sdraiato. Non ci sono rumori, ne auto ne fabbriche.. Tutto sembrava così irreale.
Ohi!
Lo stomaco si fece sentire. Pensai di andare in paese a fare colazione.
L'aria era fresca e la casa aveva assunto un non so che di familiare. Anche la pozza d'acqua appena fuori casa non sembra essere più tanto inquietante. Il laghetto.-

Chiusi il libro e mi sedetti sulla poltrona lì vicino...non era possibile. Cosa stava succedendo... Riaprii il libro verso le ultime pagine, ma le trovai bianche, allora le feci scorrere all'indietro finche non trovai una pagina scritta e lessi:

- Chiusi il libro e mi sedetti sulla poltrona lì vicino: non era possibile. Cosa stava succedendo... Riaprii il libro verso le ultime pagine, ma le trovai bianche, allora le feci scorrere all'indietro finche non trovai una pagina scritta e lessi:-

Mi si strinse lo stomaco tanto che vomitai per terra. Ripresi il libro e riguardai la copertina, non vi era titolo solo la forma dell'anello della chiave e poco sotto un piccolo cerchio nero. Cosa poteva essere...Il laghetto...certo, il laghetto. Uscii lasciando il libro sulla scrivania.
Vicino ad un sasso, per terra, vi era un piccolo buco vi infilai la chiave e girai, un piccolo...clock...e l'acqua del laghetto s'increspò. Riguardai dentro...Dei bambini che giocavano attorno ad un pozza e un uomo che da poco lontano li chiamava a se...Ero io, da bambino...Cosa voleva dire tutto questo? provai ad immerge una mano...una sensazione fresca, quasi fredda ritrassi la mano quasi subito, ma non c'era più al suo posto un moncone grondante di sangue senza dolore. La mia mente era annebbiata l'unica cosa saggia da fare era rientrare in casa e fasciarmi il moncone. Presi un asciugamano e mi fasciai poi un foglio nel quale incartai la chiave e me la misi in tasca. Ora devo vedere cosa c'è al di la del laghetto mai nessuno dovrà più poter usare la chiave, verrà con me. Il sospiro, il sussurro mi fece trasalire e volli uscire per concludere il mio piano, inciampai di nuovo sul tavolino, ma dovevo uscire. Questa volta sarei entrato con i piedi e avrei scoperto tutto. Piano il mio corpo affondava inesorabile e a un tratto sentii gli uccelli cinguettare e i bambini correre, ma il loro vociare cambiò diventò un lamento, un urlo di dolore al quale si aggiunse il mio. Il mio corpo straziato era a pezzi...nessuno conoscerà più questo dolore... mi tastai la tasca nella quale avevo infilato la chiave...non c'era...
...Un tavolino in un piccolo soggiorno con delle persiane chiuse e una chiave appoggiata sopra un tavolino...un libro con l'immagine dell'anello della chiave e all'interno una parola sola...FINE...

Stavo tornando al mio paese dopo circa trent'anni, tutto sembrava immutato, le fattorie che costeggiavano la ferrovia erano sempre uguali e la gente...

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